TUTTI I TIPI DI FINANZIAMENTO

Tutti i tipi di finanziamento da VetrinaFacile.it

Ultimo aggiornamento 19 Aprile 2023 da VetrinaFacile.it & Redazione

Tutti i tipi di finanziamento

Mutuo. Il mutuo è “il contratto con il quale una parte (mutuante) consegna all’altra (mutuatario) una determinata quantità di danaro o di altre cose fungibili, e l’altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e qualità” (1813 c.c.). Si tratta, in sostanza, di un prestito di consumazione, definito dagli economisti come “lo scambio tra moneta presente e la promessa di moneta futura”. In base alla definizione di mutuo fornita dal codice civile ed alla relativa disciplina, numerose sono le forme di prestiti a medio e lungo termine, concesse dagli istituti di credito, che potrebbero rientrare in tale tipologia contrattuale. In realtà il mutuo bancario presenta dei connotati precisi che lo distinguono da ogni altra forma di prestito.

Mutuo bancario 

Il mutuo bancario è un prestito monetario, accordato dalla banca con scadenza differita nel tempo, in base al quale il beneficiario, ricevuta la somma in prestito (di solito in un’unica soluzione), si obbliga alla restituzione graduale dell’intero importo e degli interessi maturati, attraverso rimborsi periodici (con cadenza mensile, trimestrale, semestrale o annuale). Il rimborso del capitale e il pagamento degli interessi avviene in un arco di tempo che di solito varia da 5 a 30 anni, anche se oggi il mercato propone alcuni mutui che arrivano anche a 40 anni.

Esso rientra nelle operazioni di credito fondiario che hanno per oggetto la concessione da parte delle banche di finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca sull’immobile (art. 38, D.lgs. 385/1993). Dunque la costituzione di un’ipoteca sull’immobile è un atto necessario affinché si possa parlare di mutuo, altrimenti saremmo in presenza di un semplice prestito di danaro. La Banca d’Italia ha determinato l’ammontare massimo dei finanziamenti nella misura dell’80% del valore dei beni ipotecati o del costo delle opere da eseguire sugli stessi. Il capitale mutuato può arrivare anche al 100% del valore dei beni oggetto dell’ipoteca, purché siano prestate altre garanzie quali fideiussioni bancarie, polizze fideiussorie, cessioni di crediti verso lo Stato, pegno su titoli di Stato.

“… In ogni caso la valutazione dell’istituto di credito su qualsiasi domanda di mutuo, ai fini della concessione dello stesso, tiene conto principalmente della capacità reddituale del soggetto richiedente, accertata dai modelli di dichiarazione dei redditi presentati (modello Unico, modello 730)”.

La banca all’atto della stipula del contratto si accorda con il mutuatario sulle modalità da seguire per la restituzione di quanto da questi dovuto. Le parti concordano dunque un piano di ammortamento (solitamente proposto dalla banca e accettato dal cliente), nel quale sono stabiliti, tra l’altro, la periodicità e l’ammontare delle rate.

La scelta del piano di rimborso è effettuata, in genere, sulla base di due procedimenti, il primo più adatto ai mutui a tasso variabile, il secondo adottato maggiormente per i mutui a tasso fisso:

  1. rimborso a rate posticipate decrescenti: la rata si compone di una quota capitale costante e di una quota interessi decrescente, calcolata sul debito residuo;
  2. rimborso a rate posticipate costanti: la rata è comprensiva di una quota capitale che aumenta nel corso della durata del prestito e di una quota interessi decrescente.

Tasso d’interesse

Le componenti del costo di un mutuo sono molteplici (spese notarili, commissioni bancarie, imposte, ecc.) ma tra esse un’incidenza determinante ha senza dubbio il pagamento degli interessi. Gli interessi rappresentano il compenso che le banche richiedono a fronte del prestito concesso. Sono determinati sulla base di un tasso percentuale da applicare al capitale erogato in ragione della durata del mutuo. Il tasso di interesse deve essere previsto espressamente nel contratto. Il tasso è determinato con riferimento a parametri riscontrabili sui mercati monetari e finanziari, a cui la banca aggiunge una maggiorazione (spread). L’entità di tale maggiorazione, che rappresenta la differenza tra il parametro di riferimento e il tasso effettivamente applicato, cresce in relazione alla durata del contratto.

Il tasso può essere fisso ovvero variabile: di solito il parametro di riferimento per il primo è l’EURIRS (euro Interest Rate Swap), per il secondo l’EURIBOR (euro Interbank Offered Rate). Il tasso di interesse è detto fisso in quanto, una volta concordato, rimane uguale per tutta la durata del contratto. Il tasso variabile, invece, segue l’andamento del parametro finanziario di riferimento; ciò significa che la misura degli interessi da calcolare sul capitale da rimborsare potrà modificarsi, in rialzo ovvero in ribasso, fino alla scadenza del mutuo, con impatti sull’importo della rata da pagare.

A parità di durata, in genere, i tassi fissi sono più elevati di quelli variabili, ma consentono di conoscere con certezza l’ammontare del debito complessivo e delle rate periodiche. Il tasso d’interesse praticato nelle operazioni di mutuo (così come in tutte le operazioni bancarie che prevedono un interesse), deve essere fissato nel rispetto di quanto previsto dalla L. 7-3-1996, n. 108 sull’usura e dai provvedimenti concernenti la rilevazione del tasso effettivo medio ai sensi della medesima legge.

Restando in tema di tassi vale la pena ricordare che anche il mutuo rientra fra le operazioni bancarie disciplinate dalla delibera CICR (Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio) del 9-2- 2000, recante disposizioni in materia di anatocismo bancario, pertanto pare opportuno soffermarsi brevemente sui punti salienti della citata disciplina. In particolare, la delibera dedica un intero articolo ai finanziamenti con piano di rimborso rateale, tra i quali il mutuo è senza dubbio il contratto maggiormente rappresentativo, in cui è stabilito che in tali forme di operazioni l’importo dovuto per ciascuna rata può, in caso di inadempimento, produrre interessi a decorrere dalla data di scadenza e sino al momento del pagamento, purché ciò sia stabilito contrattualmente.

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Tipi di mutuo 

Sul mercato sono presenti diverse tipologie di mutuo che si differenziano, sostanzialmente, per i diversi tipi di tasso. Di seguito si riportano le principali tipologie di mutuo.

Il mutuo bancario è detto a tasso fisso in quanto, una volta scelto, il tasso non si modifica durante la vita del contratto e, di conseguenza, la rata rimane costante a prescindere dall’andamento del costo del denaro. Il mutuo a tasso fisso risulta vantaggioso se, dopo la stipula del contratto, si verifica un generalizzato aumento dei tassi, il contrario se invece i tassi diminuiscono. La costanza della rata nel tempo consente al mutuatario di gestire in maniera semplificata le scadenze previste per i versamenti periodici, soprattutto laddove non si prevedono rilevanti variazioni del reddito nel futuro. L’incidenza della rata sulla capacità di risparmio e la sostenibilità dei rimborsi sono di facile previsione. Tuttavia, la certezza della rata va bilanciata con il fatto che il tasso fisso, al momento della conclusione del contratto, si pone su livelli più elevati di quello variabile e quindi comporta, almeno nelle fasi iniziali dell’operazione, maggiori oneri per interessi. L’importo della rata può però essere mitigato agendo sulla durata del contratto di mutuo. Nella pratica, il tasso fisso si associa a durate più lunghe.

Il mutuo è detto a tasso variabile quando la misura per il calcolo degli interessi si modifica nel tempo in relazione all’andamento del costo del denaro. La variazione seguirà quella registrata dall’indice cui il tasso stesso è stato agganciato, il più frequente dei quali è l’EURIBOR. La revisione segue la periodicità delle rate; se il rimborso avviene con cadenza mensile, il tasso variabile avrà un riferimento temporale pari al mese e si aggiornerà con la stessa frequenza. Viene quindi meno la certezza circa l’entità delle rate e, al momento dell’accensione, non si conosce il costo complessivo che l’operazione potrà avere.Chi richiede il mutuo a tasso variabile si espone al rischio di incrementi della rata in relazione a rincari del costo del denaro. Per contro, la misura del tasso variabile è inferiore a quella del fisso e, a parità di scadenza e di importo erogato, la rata iniziale risulta, anche in misura significativa, inferiore a quella derivante da un tasso fisso. Il rischio di variazioni nella misura degli interessi nel tempo può comunque essere mitigato con la riduzione della durata del contratto. Di solito, il tasso variabile è associato a mutui con scadenze non molto prolungate.

Mutuo a tasso misto

Il mutuo è detto a tasso misto quando consente al mutuatario di passare da una rata costante ad una invece variabile durante la vita del contratto e viceversa. Si ha quindi l’opportunità di modificare la misura iniziale degli interessi nel corso della vita del mutuo sulla base delle aspettative circa l’andamento del costo del denaro. In tal modo si ha la possibilità di gestire in modo dinamico il rischio di tasso, contenendo gli effetti dei rialzi in caso di tasso variabile ovvero di ribassi in caso di tasso fisso. La facoltà tuttavia non è priva di costi aggiuntivi da riconoscere alla banca, i quali non sempre sono facilmente individuabili in quanto spesso impliciti nel tasso di interesse applicato.

Mutui a tasso fisso variabile con capped rate

Ci sono anche i mutui a tasso variabile con un cap (capped rate) e mutui a tasso variabile con rate costanti.
Il primo tipo di mutuo costituisce una particolare forma di quello variabile. La caratteristica peculiare risiede nel fatto che consente di limitare il rischio da futuri aumenti del tasso. Il mutuatario consegue i benefici del variabile nelle fasi di ribasso del costo del denaro, mentre in caso di rialzo ne subisce gli svantaggi fino, però, ad un certo limite (cap). Le banche offrono tale possibilità, di solito, per mutui di durata non superiore ai dieci anni. Con il secondo tipo di mutuo si combinano, invece, le caratteristiche del tasso fisso con quelle del tasso variabile. In particolare, al variare del tasso di interesse si modifica la durata del mutuo, ma non anche la rata che invece rimane costante. Rialzi del costo del denaro determinano un allungamento della scadenza, mentre i ribassi la riducono.

Spese extra

All’obbligazione di pagare il tasso di interesse va aggiunto l’obbligo di corrispondere altre spese, quali le spese notarili, relative all’atto con cui il mutuo viene erogato e all’iscrizione dell’ipoteca presso la Conservatoria dei registri immobiliari, il compenso spettante alla banca per le spese di istruttoria della pratica (in percentuale sulla somma erogata ovvero in una cifra fissa), le spese per la perizia sull’immobile dato in garanzia, l’imposta sostitutiva delle imposte di registro, di bollo, ipotecarie, catastali e sulle concessioni governative (la misura è dello 0,25% o del 2% se il mutuo è erogato da società finanziarie), ed infine il costo dell’assicurazione sull’incendio nonché di quella legata al rischio di infortunio o morte del mutuatario. Oltre agli interessi di cui si è detto, contenuti nelle rate da rimborsare, sono dovuti alla banca (in un’unica soluzione) anche gli interessi di preammortamento, cioè gli interessi calcolati sull’intera somma mutuata, dal giorno dell’erogazione fino al giorno di inizio del piano di ammortamento. Se ad esempio il piano di ammortamento prevedesse rate semestrali posticipate (30/06 e 31/12) e il mutuo fosse erogato in data 15 marzo, gli interessi di preammortamento sarebbero calcolati dal 15/3 al 30/6, mentre la prima rata semestrale di mutuo sarebbe corrisposta il 31/12. A fini sia informativi che comparativi, le banche devono rendere noto un indicatore che esprime in modo riassuntivo l’onerosità complessiva del mutuo, l’Indicatore Sintetico di Costo (ISC), assimilabile al TAEG previsto per i finanziamenti nella forma del credito al consumo. La misura dell’ISC – proprio perché incorpora anche altri oneri accessori – è di solito superiore a quella del tasso di interesse.

Estinzione anticipata e portabilità del mutuo

Il mutuatario può rimborsare il finanziamento ricevuto prima della scadenza contrattuale, in misura sia totale che parziale (estinzione anticipata). Per i contratti di mutuo stipulati a decorrere dal 2 febbraio 2007, l’estinzione anticipata non è più condizionata all’applicazione di penali, ossia al pagamento di una somma di denaro aggiuntiva rispetto al capitale che si intende restituire. Inoltre, esiste il divieto di inserire nel contratto di mutuo clausole che pongono a carico del debitore una qualsiasi prestazione a favore della banca, e, qualora previste, tali clausole devono sempre considerarsi nulle (Legge n.40/2007).

Per i mutui sottoscritti prima del 2 febbraio 2007, e quindi in essere a tale data, le penali di estinzione già previste contrattualmente sono state ridotte. La portabilità del mutuo (surrogazione del creditore iniziale – art 1202 C.C.) permette al debitore di sostituire la banca che ha erogato inizialmente il mutuo con una nuova banca, che ad esempio propone condizioni migliori, mantenendo viva l’ipoteca originariamente costituita. Nel caso in cui si decida di trasferire il mutuo ad altro intermediario non è quindi più necessaria la cancellazione della vecchia garanzia e l’attivazione di una nuova, con riduzione di formalità e soprattutto di costi notarili. La banca che subentra provvederà a pagare il debito che residua e si sostituirà a quella precedente. Il debitore rimborserà il mutuo alle nuove condizioni concordate. Le recenti disposizioni normative rendono il ricorso a tale facoltà più agevole. E’ infatti prevista la nullità delle clausole contrattuali che ne impediscono ovvero ne rendono oneroso l’esercizio per il cliente.

Cancellazione dell’ipoteca

Attualmente la cancellazione dell’ipoteca prestata dal debitore a garanzia del pagamento del mutuo è una conseguenza automatica dell’avvenuta estinzione del mutuo stesso. In particolare, la banca è tenuta a rilasciare al cliente una quietanza attestante la data di estinzione del mutuo e a trasmettere entro trenta giorni al conservatore, cioè all’ufficio pubblico dei registri immobiliari, la relativa comunicazione senza applicare alcun onere. Il conservatore, una volta ricevuta la comunicazione e decorso il termine di trenta giorni dal rilascio della citata quietanza, procede d’ufficio alla cancellazione dell’ipoteca.

Prima dell’intervento legislativo, (Legge n.40/2007), per far venir meno la garanzia occorreva seguire una procedura più complessa e onerosa per il mutuatario.

Apertura di credito 

L’apertura di credito (o fido o affidamento) è il contratto con il quale la banca si obbliga a tenere a disposizione dell’altra parte una somma di danaro per un dato periodo di tempo o a tempo indeterminato (art. 1842 c.c.).

Si tratta della più diffusa operazione di credito a breve termine: essa ha la funzione di creare una disponibilità a favore dell’accreditato, mettendo a sua disposizione una somma che, pur rimanendo nelle casse della banca, egli può utilizzare anche parzialmente e ripetutamente, con l’obbligo di restituirla alla scadenza del contratto o negli altri casi di cessazione del rapporto.

Tipologie

Le aperture di credito possono essere classificate in base a diversi elementi. Se si tiene conto delle modalità di utilizzo del credito è possibile distinguere tra apertura di credito:

  1. per cassa, qualora la banca si impegna al versamento di una somma di denaro che può essere utilizzata dal cliente in una o più riprese.
  2. per firma, quando la banca mette a disposizione, attraverso la propria firma, una garanzia a favore del cliente che tecnicamente può assumere la forma dell’accettazione, dell’avallo o della fideiussione.

Le aperture di credito per cassa possono essere ulteriormente distinte in:

  1. semplici, quando l’accreditato può utilizzare il credito in una volta, o più volte, con successivi prelievi parziali. Non può, tuttavia, ripristinare la disponibilità con versamenti successivi che permettano il riutilizzo dell’apertura di credito;
  2. in conto corrente quando l’accreditato può utilizzare in più volte il credito e con successivi versamenti ripristinare la disponibilità. In mancanza di un’apposita pattuizione delle parti, l’apertura di credito s’intende in conto corrente (art. 1843 c.c.).

In base alle garanzie che le assistono si può distinguere tra apertura di credito:

  1. allo scoperto (o in bianco): quando la restituzione della somma utilizzata è assicurata esclusivamente dal patrimonio dell’accreditato; in tal caso, la concessione del credito si fonda sulla valutazione, da parte della banca, della solvibilità e della correttezza dell’accreditato;
  2. garantita: quando la concessione di credito è subordinata al rilascio di garanzie reali o personali da parte dell’accreditato di terzi graditi alla banca. In base alla durata si distinguono aperture di credito:
  3. a tempo determinato (nella pratica bancaria denominata “straordinaria”), quando è fissato uno specifico termine di scadenza;
  4. a tempo indeterminato (o ordinario ), quando è prevista la facoltà di recedere dal contratto in qualsiasi momento con preavviso reciproco.

In base al soggetto utilizzatore del credito si distinguono aperture di credito:

  1. a favore proprio, quando il beneficiario del credito è lo stesso cliente affidato;
  2. a favore dei terzi, quando il beneficiario dell’apertura di credito è un soggetto diverso dal cliente affidato.

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Utilizzazione del credito e obbligazioni dell’accreditato

L’apertura del credito può essere a tempo determinato o indeterminato: in entrambi i casi, essa deve avere ad oggetto una somma determinata o determinabile. L’art, 1843 c.c. prevede che l’accreditato possa disporre delle somme “secondo le forme d’uso”. I principali modi di utilizzazione che si rinvengono nella prassi bancaria sono: il prelevamento per cassa, l’assegno bancario o circolare, l’ordine di bancogiro (o giroconto), il rilascio di fideiussioni a favore del cliente, lo sconto di titoli di credito, ecc..

Al diritto dell’accreditato di utilizzare il credito fanno riscontro una serie di obbligazioni a suo carico. In primo luogo, l’accreditato è tenuto al pagamento della provvigione di conto; tale provvigione è spesso prevista solo per il caso di mancata utilizzazione del credito, o per il caso in cui gli interessi non raggiungano una determinata cifra; talvolta, quando il credito è concesso per operazioni di carattere fortemente speculativo, la banca esige una commissione speciale. La provvigione non esclude il diritto della banca alle commissioni relative alle operazioni compiute in esecuzione del rapporto.

L’utilizzazione del credito determina anche l’obbligo dell’accreditato di restituire le somme utilizzate:

  1. nell’apertura di credito semplice, tale restituzione determina l’estinzione del rapporto, anche se ha luogo prima della scadenza del termine per l’utilizzazione del credito;
  2. nell’apertura di credito in conto corrente, invece, i versamenti dell’accreditato sul conto hanno l’effetto di ricostituire la disponibilità: il diritto della banca alla restituzione sorge quindi solo alla fine del rapporto.

Garanzie all’apertura del credito

Per rafforzare il suo diritto alla restituzione delle somme utilizzate, la banca può ricorrere a diversi strumenti.
Nell’apertura di credito allo scoperto, la banca può farsi rilasciare delle cambiali: esse non costituiscono una garanzia della restituzione (la quale dipende sempre dalla solvibilità dell’accreditato), ma servono ad agevolare il recupero o lo smobilizzo del credito. La banca, infatti, può ottenere la restituzione più facilmente attraverso l’esercizio dell’azione cambiaria, ovvero può recuperare le somme accreditate girando o scontando i titoli di creedito.

Nell’apertura di credito garantita, il diritto alla restituzione può essere rafforzato da garanzie reali o personali: poiché il diritto alla restituzione sorge solo alla fine del rapporto, si tratta di garanzia per un debito futuro. Tali garanzie non si estinguono prima della fine del rapporto, per il solo fatto che l’accreditato cessi di essere debitore della banca. Se nel corso del rapporto la garanzia diviene insufficiente, la banca può chiedere un supplemento di garanzia o la sostituzione del garante, e se l’accreditato non ottempera alla richiesta, può ridurre il credito proporzionalmente al diminuito valore della garanzia o recedere dal contratto (art. 1844 c.c.).

L’apertura di credito può essere garantita innanzitutto da ipoteca:

  1. nell’apertura di credito semplice, essa garantisce la somma prelevata “una tantum”;
  2. nell’apertura di credito in conto corrente, garantisce il saldo a debito risultante dalla fine del rapporto.

Alla scadenza del contratto, la garanzia dovrebbe estinguersi: qualora però la banca conceda una proroga del termine, l’ipoteca continua a garantire l’utilizzazione del credito; se invece le parti procedono ad una rinnovazione del contratto, la garanzia si estingue (in quanto si verifica una novazione del rapporto principale), salvo che le condizioni del nuovo rapporto siano le stesse di quello precedente.

Quando invece l’apertura di credito è garantita da pegno le norme uniformi attribuiscono alla banca, in caso di mancata restituzione delle somme utilizzate, il diritto di far vendere le cose date in garanzia, con preavviso scritto di almeno un giorno, in forme anche diverse da quelle previste dall’art. 2797 c.c.; se si tratta di titoli negoziabili in Borsa, la vendita va fatta al prezzo del mercato.

Estinzione del rapporto

L’apertura di credito si estingue:

  1. per scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato;
  2. per morte o sopravvenuta incapacità dell’accreditato, in quanto si tratta di un contratto basato sulla fiducia;
  3. per fallimento dell’accreditato o liquidazione coatta della banca; – per recesso unilaterale di una delle parti.

Se il contratto è a tempo indeterminato il recesso deve essere preceduto dal preavviso, nel termine stabilito dal contratto, dagli usi, o in mancanza entro quindici giorni (art. 1845, 3° comma, c.c.). L’art. 1845 c.c. riconosce poi alla banca, salvo patto contrario, il diritto di recedere dal contratto per giusta causa.

Credito al consumo 

Il credito al consumo è definito dall’art. 121 del T.U.B. (Testo Unico Bancario) come “la concessione nell’esercizio di un’attività commerciale o professionale di credito sotto forma di dilazione di pagamento o di prestito o di analoga facilitazione finanziaria a favore di persona fisica (consumatore)”.

Il prestito deve essere di importo compreso tra i 154,94 euro ed i 30.987,41 euro (limiti che possono essere modificati) e deve prevedere un rimborso rateale. Le caratteristiche peculiari del credito al consumo riguardano sia la natura dei beni finanziati, e cioè beni di consumo, sia di natura durevole che non (automobili, servizi sanitari, ecc.), sia la tipologia del soggetto che richiede il credito cioè il “consumatore” individuato come contraente debole. E’ a queste esigenze di tutela che sono improntate le principali disposizioni della relativa normativa: chiarezza nell’accordo contrattuale. La legge infatti prevede che tutti i contratti siano in forma scritta e che vi sia la consegna di una copia al cliente.

L’art. 123 del T.U.B. riconduce le operazioni di credito al consumo alle regole generali in tema di pubblicità, stabilite nel capo sulla trasparenza; inoltre, il medesimo articolo, come modificato dal decreto legislativo attuativo della direttiva CE 98/7, stabilisce che in caso di annunci pubblicitari e offerte, effettuati con qualsiasi mezzo, il Taeg deve essere indicato mediante un esempio tipico, secondo le modalità di calcolo stabilite con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze. Il contratto deve riportare l’ammontare e le finalità del finanziamento, il numero, l’importo e la scadenza delle rate e il tasso annuo effettivo globale (TAEG) e prevedere anche le condizioni che possono condurre ad una modifica di tale tasso.

  1. Possibilità di adempimento anticipato. Il consumatore può, in qualunque momento, decidere di rimborsare anticipatamente la cifra ottenuta in prestito ed ha diritto, in questo caso, ad un’equa riduzione del corrispettivo;
  2. Divieto di cessione del credito senza il preventivo assenso del cliente.

Finanziamenti alle imprese

Per finanziamento alle imprese si fa riferimento ad operazioni bancarie che hanno come obiettivo quello di mettere a disposizione delle aziende i mezzi finanziari di cui necessita per lo svolgimento della sua attività.
Nella precedente legislazione esistevano numerose forme di credito speciale alle imprese: il credito mobiliare, il credito alle medie e piccole imprese, ecc.. Oggi, invece, il T.U.B. riunisce tutte le operazioni di finanziamento alle imprese di medio e lungo temine e sostituisce tutti i privilegi relativi ad ogni credito speciale nell’unico “privilegio speciale”.

Quest’ultimo dovrà risultare da atto scritto, a pena di nullità, e dovrà indicare:

  1. la banca creditrice;
  2. il debitore;
  3. le condizioni di finanziamento;
  4. la somma di denaro per il quale viene assunto;
  5. i beni e i crediti sui quali il privilegio viene costituito.

Ai fini della opponibilità ai terzi è necessaria la trascrizione nel registro tenuto dalla Cancelleria del Tribunale del luogo dove ha sede l’impresa finanziaria o dove ha sede o risiede il soggetto che ha concesso il privilegio.
Il credito, per essere assistito da privilegio speciale e quindi ricadere nella fattispecie di finanziamento di medio e lungo termine alle imprese, dovrà rispondere ai seguenti requisiti:

  1. l’ente finanziatore può essere solo una banca;
  2. il finanziato deve essere un imprenditore (sia esso agricolo o commerciale, piccolo o grande);
  3. il finanziamento deve essere a medio o lungo termine (nella prassi si intende oltre i 18 mesi ).

L’art. 46 prevede che il privilegio non può avere per oggetto beni iscritti nei pubblici registri; questo limite si spiega tenendo presente per i beni iscritti in pubblici registri si prevedono già le garanzie reali ordinarie (ipoteca, pegno, ecc.).

L’articolo elenca poi i beni su cui può poggiare il privilegio:

  1. impianti ed opere esistenti e future;
  2. materie prime, scorte, prodotti finiti, bestiame;
  3. beni acquisiti con il finanziamento concesso;
  4. crediti anche futuri, derivanti dalla vendita di beni di cui sopra.

Per quanto riguarda il grado, dove per grado è da intendersi la precedenza rispetto agli altri privilegi, il privilegio speciale è posposto esclusivamente al privilegio per le spese di giustizia (art. 2777 c.c.) ed ai privilegi indicati all’art. 2751 bis c.c. (onorari, retribuzioni, ecc.).

Leasing

Il leasing è un’operazione finanziaria con cui una parte concede ad un’altra, dietro corrispettivo di un canone periodico, il godimento di un bene per un certo periodo di tempo, alla scadenza del quale la parte che ha ricevuto il godimento può scegliere tra la prosecuzione del godimento, la restituzione del bene, l’acquisto della proprietà (mediante versamento di un prezzo stabilito).

Si distinguono generalmente due diverse forme di leasing:

  1. leasing operativo, che ha la finalità di evitare all’utilizzatore il rischio della proprietà del bene e di garantirgli alcuni servizi collaterali;
  2. leasing finanziario, cha ha la funzione di finanziare l’utilizzatore, che può servirsi del bene per tutta la durata della sua vita tecnico-economica senza acquistarne la proprietà e senza dover quindi ricorrere alle consuete forme di finanziamento.

Nell’ambito del leasing finanziario si distinguono altresì il contratto di sale and lease back ed il leasing immobiliare.

Leasing operativo

Il leasing operativo è la prima forma storicamente assunta dall’istituto. Ad esso l’impresa utilizzatrice fa ricorso per ottenere la temporanea disponibilità di beni strumentali standardizzati per un periodo di tempo inferiore alla loro vita economica (il che ne consente la riutilizzazione al termine del contratto) senza sopportare i rischi connessi all’obsolescenza di essi. L’impresa concedente, di regola, è anche produttrice del bene concesso e (in ogni caso) si impegna a fornire un servizio di assistenza e manutenzione per conservare in perfetta efficienza il bene medesimo.

Altre caratteristiche del leasing operativo sono le seguenti:

  1. la parte che dà il bene in godimento lo ha già a disposizione nel momento in cui stipula il contratto (non importa a che titolo);
  2. la durata del contratto è solitamente breve: spesso inferiore ad un anno e solo in rari casi superiore a tre;
  3. l’impresa utilizzatrice può esercitare la facoltà di recesso prima del termine, dando adeguato preavviso;
  4. il canone pattuito costituisce il corrispettivo del godimento del bene, sia pure con il computo del deterioramento, ma non comprende, sotto nessun aspetto, una porzione di prezzo o di valore capitale del bene stesso;
  5. al termine del contratto, i beni dati in godimento devono essere restituiti (sono previste, pertanto, varie clausole rivolte a garantire il corretto uso e la diligente conservazione dei beni medesimi, alle quali l’impresa utilizzatrice deve rigidamente attenersi).

Può essere prevista, però, per l’impresa utilizzatrice, la facoltà di optare a favore di una delle tre seguenti alternative:

  1. rinnovare il contratto;
  2. sostituire il bene con altro più confacente alla proprie esigenze;
  3. riscattare il bene con il pagamento di una somma prefissata.

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Leasing finanziario

Il leasing finanziario può definirsi come un’operazione mediante la quale una società finanziaria acquista, per conto di un’impresa industriale o commerciale, un bene a questa necessario per lo svolgimento del processo produttivo ed alla stessa lo cede in godimento per un periodo in genere corrispondente alla sua intera vita economica.

Il rapporto in essere presenta due caratteri:

  1. la società di leasing non è produttrice del bene, ma si obbliga ad acquistarlo dal produttore; essa, pertanto, non ha beni a disposizione, ma capitali da impiegare;
  2. l’impresa utilizzatrice non ha interesse ad ottenere la disponibilità temporanea di un bene, ma cerca il finanziamento necessario per l’acquisto di un bene strumentale, che prevede d’inserire per un lungo periodo nella propria struttura produttiva.

L’operazione di leasing si svolge, pertanto, nel modo seguente:

  1. l’imprenditore cha ha bisogno di un certo bene (per lo più altamente specializzato) si rivolge ad una società di leasing che possiede il capitale, e le chiede di acquistare il bene medesimo;
  2. questa, se accetta, si impegna ad effettuare tale acquisto ed a fare entrare l’altra parte nella detenzione del bene;
  3. come corrispettivo di tali due prestazioni l’altra parte si impegna a versare periodicamente alla prima delle somme calcolate in misura che, alla scadenza prevista, la società di leasing riceva dall’imprenditore il rimborso completo del prezzo pagato, gli interessi sulla somma versata a tale titolo, nonché, di solito un indennizzo forfettario per il rischio finanziario.

La durata del contratto per i beni mobili strumentali oscilla da 2 a 5 anni.

Il contratto si presenta particolarmente vantaggioso per l’installazione di macchinari di notevole valore, poiché permette una rateizzazione piuttosto lunga degli oneri relativi (parallela ai ratei di ammortamento) e consente di superare le difficoltà burocratiche del ricorso ai tradizionali canali del credito. Sul piano fiscale infine, l’utilità dell’istituto si riconnette al fatto che i canoni sono completamente scaricabili nell’esercizio annuale da parte dell’imprenditore utilizzatore e che questi, se soggetto ad IVA, può operare la rivalsa per la quota di imposta pagata, a condizione che la durata del contratto non sia inferiore alla metà del periodo di ammortamento del bene mobile stabilito in relazione ai coefficienti previsti dall’apposito decreto ministeriale.

Per il leasing immobiliare la deducibilità dei canoni da parte degli utilizzatori non è condizionata invece alla durata minima del contratto.

Il procedimento di stipulazione del contratto in esame ha inizio generalmente con una domanda di leasing, redatta dall’imprenditore richiedente su appositi formulari predisposti dalla società finanziatrice, con indicazione specifica di tutte le caratteristiche sia del bene da acquistare sia dell’impresa che ne richiede l’acquisto, e con particolare riferimento alle condizioni economiche di quest’ultima ed alle garanzie che essa è in grado di fornire. All’accettazione da parte della società di leasing segue la sottoscrizione congiunta di un documento che contiene pattuizioni contrattuali estremamente particolareggiate circa l’attuazione del rapporto. I documenti anzidetti sono formulati come se venisse stipulata una cessione di godimento a titolo di locazione del bene che ha formato oggetto della domanda di leasing, ma il loro contenuto deroga ampiamente alla normativa posta dalla legge per il rapporto di locazione.

Il procedimento, quindi, si conclude con la stipulazione di un terzo atto tra la società di leasing ed il terzo fornitore del bene. Il contenuto di tale atto corrisponde a quello di una compravendita per contanti.

Il lease-back

E’ questa un’operazione finanziaria con la quale un bene (frequentemente un immobile, ma anche un qualsiasi bene strumentale) viene alienato dal proprietario ad un’impresa di leasing, che si impegna a concedere lo stesso bene in godimento al venditore ed a riconoscergli un diritto di riscatto, trascorso un determinato periodo di tempo; per la successiva restituzione in locazione dello stesso bene, vengono fissati dei canoni periodici che hanno le caratteristiche dei canoni di un contratto di leasing finanziario.

Il lease-back qui si differenzia dal leasing in quanto rispetto a quest’ultimo è caratterizzato da una fase antecedente, durante la quale il futuro locatario vende il bene strumentale di sua proprietà all’impresa di leasing. Con il ricorso al lease-back, pertanto si attua sostanzialmente la mobilizzazione di un investimento, mantenendo l’uso del bene oggetto della transazione e la facoltà di riacquistare la proprietà: è possibile, cioè, raccogliere quelle disponibilità liquide che, in un determinato momento, sia necessario immettere nella gestione economica di un’impresa senza privarsi dell’uso di un bene. E’ evidente che il lease-back ha tutte le caratteristiche di un’operazione di credito assistita da una garanzia reale.

Leasing immobiliare

Con tale operazione finanziaria una parte concede all’altra, per un tempo determinato e verso un corrispettivo da pagarsi a scadenze periodiche, il godimento di un bene immobile, acquistato o fatto costruire dall’impresa di leasing su scelta ed indicazione della parte utilizzatrice, con facoltà per quest’ultima di acquistare la proprietà dell’immobile stesso alla scadenza del contratto (o anche prima se convenuto tra le parti) contro versamento di un prezzo stabilito, o determinato in base a parametri contrattualmente fissati.

Con la stipulazione del contratto di leasing immobiliare tutti i rischi connessi alla costruzione ed all’esistenza dell’immobile ricadono sulla parte utilizzatrice. Ad essa spetta la responsabilità di seguire i lavori di costruzione fino alla consegna: nonché ogni altra incombenza relativa all’immobile (manutenzione ordinaria e straordinaria; stipulazione delle polizze assicurative, pagamento di imposte e tasse, ecc.).

L’impresa di leasing, insomma, interviene unicamente come apportatrice di capitali, per finanziare l’operazione diretta dalla parte utilizzatrice. Il contratto può configurarsi secondo una gamma di schemi ispirati alla disciplina legale della locazione o a quella della vendita con riserva di proprietà.

Factoring

L’espressione factoring è usata con un duplice significato: essa definisce anzitutto un particolare tipo di contratto con cui un imprenditore (cedente o fornitore) si impegna a cedere ad un altro imprenditore (factor) tutti i crediti presenti e/o futuri che derivino dall’esercizio della sua impresa. La cessione avviene talvolta “pro solvendo”, cioè con garanzia del buon fine del credito ceduto, ma più spesso “pro soluto” (senza rivalsa, quindi, in caso di mancato pagamento), al valore nominale del credito, dal quale viene detratta una “commissione” proporzionata all’attività ed al rischio del factor. L’accredito al cedente può avvenire alla scadenza dei singoli crediti, in anticipo rispetto alla stessa, oppure ad una certa data successiva alla scadenza. L’espressione viene, però, riferita anche a tutti i negozi giuridici, posti in essere in esecuzione della suddetta vera e propria convenzione di factoring, come negozi particolari di cessione di credito.

Il contratto può assumere diverse funzioni:

  1. di gestione dei crediti: quando il factor si occupa di riscuotere i crediti e di perseguire gli eventuali debitori inadempienti;
  2. di finanziamento: quando il factor anticipa l’importo dei crediti acquistati;
  3. di assicurazione: quando il factor acquista i crediti pro soluto (valutando e facendosi compensare il rischio dell’eventuale inadempimento).

L’imprenditore cedente, pertanto – mediante il ricorso al factoring – può ottenere molteplici vantaggi:

  1. semplificazione della gestione commerciale ed alleggerimento dei servizi contabili;
  2. possibilità di ottenere informazioni commerciali, utilizzando la vasta organizzazione del factor;
  3. miglioramento della situazione finanziaria, mediante la mobilizzazione del portafogli clienti: con copertura del rischio di solvibilità (relativo all’ammontare del credito) e del rischio di tesoreria (relativo alla scadenza);
  4. utilizzazione dei moderni sistemi meccanografici, di cui si avvalgono le società di factoring per il volume di operazioni che svolgono, con possibilità di ottenere anche informazioni statistiche;
  5. generali economie di gestione, per la riduzione di tutte le spese collegate con il contenzioso d’incasso.

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