
Ultimo aggiornamento 17 Ottobre 2022 da VetrinaFacile.it & Redazione
Quando un condomino è moroso
Negli ultimi anni il numero dei morosi è aumentato e di conseguenza è aumentato il lavoro per l’amministratore. L’amministratore (nell’articolo 1129 del codice civile) è indicato come il soggetto incaricato a riscuotere i crediti, calcolati in base alla ripartizione delle spese votata dall’assemblea. La legge di riforma del condominio, vista la difficile situazione, ha aumentato i suoi poteri, ma il recupero delle insolvenze resta ancora lungo e complesso. Quando un condomino non paga le spese condominiali o le quote relative all’utilizzo dei servizi comuni, per esempio il riscaldamento, acquisisce la condizione di moroso.
L’amministratore ha sei mesi di tempo, a partire dalla chiusura annuale dell’esercizio, per agire nei confronti del moroso. Anche se non è obbligato a farlo, solitamente la prima mossa consiste nel sollecitare il condomino ritardatario. Se non ottiene risposta (senza l’autorizzazione dell’assemblea) l’amministratore può ottenere un decreto ingiuntivo “immediatamente esecutivo”, attraverso il quale il giudice, basandosi sulle prove fornite dall’amministratore, obbliga il condomino a pagare, e se questi persiste nella morosità procede con il pignoramento dei beni.
A questo punto si pone la prima questione fondamentale: chi paga in attesa che il moroso saldi il suo debito?
Le quote mancanti sono ripartite fra tutti gli altri condomini proprietari, ognuno dei quali paga in base ai millesimi di proprietà in suo possesso, ricalcolati con l’esclusione del moroso. I millesimi di riferimento saranno quelli “calore” per il riscaldamento o ”di proprietà” per la manutenzione ordinaria e straordinaria dell’edificio.
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Se il condomino non paga i fornitori
Qualora il condomino continuasse a non pagare i fornitori, per esempio la società che eroga il riscaldamento o l’energia elettrica, il rischio sarebbe l’interruzione del servizio, probabilmente sarebbe più corretto se le aziende si rivolgessero direttamente ai condomini morosi, soprattutto dopo che la riforma consente all’amministratore di trasmettere ai creditori insoddisfatti i nominativi e le quote di debito dei morosi. In effetti, almeno in teoria, funzionerebbe così: in prima battuta il creditore si rivolge al condomino moroso, ma quando quest’ultimo non risponde (ed è ciò che avviene nella maggior parte dei casi) allora si rivolge al condominio.
È bene ricordare che sia l’articolo 1565 del c.c. sin alcune clausole presenti nei contratti, prevedono la possibilità per il gestore in tema di contratto di somministrazione, sia pure con congruo preavviso, di interrompere la fornitura qualora vi siano ritardi nei pagamenti delle bollette. Fermo restando che negli edifici condominiali, l’interlocutore dell’ente erogatore è nella maggior parte dei casi l’amministratore e non i singoli condòmini, eventuali crediti vantati, quindi, si riferiscono ai consumi registrati per intero debito fatturato unicamente nei confronti dell’amministratore.
Se, invece, il singolo condomino ha stipulato un contratto a sé stante con il fornitore, l’interruzione del servizio riguarderà il singolo condomino. In attesa del decreto ingiuntivo, se previsto dal regolamento condominiale, l’amministratore può peraltro vietare al condomino moroso l’utilizzo dei servizi comuni, come il riscaldamento centralizzato, l’acqua e l’ascensore. Ma in questo caso occorre che gli impianti siano stati costruiti prevedendo il distacco delle singole unità e che il divieto non pregiudichi il diritto costituzionale alla tutela della salute (articolo 32 della Costituzione).
Come tutelarsi dai condomini morosi
Per evitare brutte sorprese, l’amministratore del condomino può costituire un fondo cassa, finanziato da tutti, che serva a pagare le quote dei morosi. Il fondo deve essere approvato all’unanimità dall’assemblea condominiale, anche se non è un caso di assoluta urgenza, è sufficiente la sola maggioranza. Ricordiamo che chi acquista l’appartamento del moroso è obbligato a saldare le quote condominiali per l’anno in corso e a quello precedente, anche se nel momento dell’acquisto non era a conoscenza del debito. Il nuovo proprietario potrà poi fare causa al vecchio e avere indietro i soldi. Inoltre, se l’inquilino non paga le spese, a risponderne è il proprietario. L’inquilino versa la quota di spese condominiali a suo carico direttamente al proprietario dell’immobile, ossia al locatore.
È quest’ultimo che risponde all’amministratore in caso di ritardi o mancati pagamenti dell’inquilino moroso, che quindi è solo responsabile per l’inadempimento contrattuale nei confronti del locatore. L’inquilino è tenuto a pagare il canone entro 20 giorni dalla scadenza e, se l’ammontare delle spese condominiali non versate è superiore all’importo di due mensilità del canone d’affitto, il proprietario dell’alloggio ha la facoltà di risolvere il contratto di locazione.
La cessione del credito
La cessione del credito, nonostante sia scarsamente utilizzata, è consentita dalla legge anche in ambito condominiale, a patto che non sussistano i divieti previsti dall’articoIo 1261 del codice civile: l’amministratore può cedere a terzi un credito vantato dal condominio verso il condomino moroso e la cessione, come stabilito dall’articolo 1260 del codice civile. Avviene anche senza il consenso del debitore (che comunque deve essere informato) e quindi soltanto in forza dell’accordo tra cedente, ossia condominio, e cessionario, ad esempio un istituto finanziario.
Cessione: pro-solvendo e pro-soluto
Pur essendo tecnicamente consentita la cessione pro-solvendo con il cedente che risponde dell’inadempienza del debitore, in condominio deve operare la formula della cessione pro-soluto, dove il cedente, vale a dire il condomino, garantisce solamente l’esistenza del credito e non risponde dell’eventuale insolvibilità del debitore.
Per la cessione pro-soluto del credito del condominio verso il condomino moroso l’amministratore non necessita di regola dell’approvazione dell’assemblea, salvo il caso in cui si convenga transattivamente — a favore del cessionario — uno sconto sul valore nominale del credito.
In tal caso, la cessione, avendo contenuto eccedente l’ordinaria amministrazione (articolo 1108 del codice civile), dovrà essere approvata dall’assemblea quantomeno con la maggioranza di cui all’articolo 1136, comma 5 del codice civile (maggioranza degli intervenuti oltre i due terzi dei millesimi) e l’amministratore dovrà indicare nel rendiconto l’importo del credito scontato, relazionando l’assemblea sui motivi e sui contenuti della transazione.
Prima della riforma del condominio
Prima della riforma, la storica sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione 9 aprile 2008, n. 9148, ha sancito il principio della parziarietà delle obbligazioni dei condomini nei confronti di terzi. Se fino ad allora il creditore aveva il diritto di rivalersi solidalmente su uno qualsiasi dei condomini (indipendentemente dal debito riscontrato da ciascuno di essi), dopo la decisione della Cassazione è necessario preliminarmente citare in giudizio i condomini morosi.
Il creditore, dopo avere ottenuto un decreto ingiuntivo o una sentenza con efficacia esecutiva nei confronti del condominio, agisce quindi solo nei confronti di coloro che non hanno pagato. Un meccanismo che, se da un lato premia i condomini in regola, dall’altro rende lungo e difficoltoso il recupero dei crediti alle parti terze.
Accade così che per aggirare l’ostacolo, alcuni inseriscano nei contratti d’appalto clausole limitative per le quali agli effetti della solidarietà passiva le parti possono inserire convenzioni limitative della parziarietà che sono consentite (Cassazione 21 luglio 2009, 11. 16920).
Dopo la riforma del condominio
Dopo la riforma del condominio, l’articolo 63 delle Disposizioni di attuazione del Codice civile consente ai creditori di rivalersi nuovamente sui condomini virtuosi, ma solo in seconda battuta, ovvero dopo avere agito nei confronti dei morosi e non avere ottenuto nulla, configurandosi così il cosiddetto beneficio di escussione.
Quella dei creditori può essere definita un’azione surrogatoria, nel senso che si realizza soltanto in caso di mancato intervento dell’amministratore, il quale, salvo essere espressamente dispensato dall’assemblea, è tenuto ad agire per la riscossione forzata delle somme dovute dagli obbligati, entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio nel quale il credito esigibile è compreso, attraverso un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo, che non necessita dell’approvazione dell’assemblea.
Lo stesso amministratore ha il compito di comunicare ai creditori che ne avanzino richiesta i dati (nomi e quote millesimali) dei condomini insolventi e, qualora la mora nel pagamento dei contributi si protragga per un semestre, può sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato. Se il cessionario è un fornitore, è possibile che quest’ultimo e il condominio si accordino preventivamente, in sede di contratto, per uno sconto sul prezzo della fornitura, con la rinuncia dei condomini alla parziarietà delle loro obbligazioni, facendo rivivere il principio della solidarietà.
Per tale pattuizione non si ritiene, però, sufficiente una delibera a maggioranza, occorrendo invece l’unanimità dei consensi di tutti i condomini, che dovranno anche sottoscrivere il contratto. La rinuncia alla parziarietà delle obbligazione incide, infatti sui diritti individuali di ciascun condomino, di cui la maggioranza non può disporre.
Cosa occorre per il decreto ingiuntivo
Il verbale dell’assemblea condominiale con le delibere di approvazione del bilancio consuntivo e preventivo e di eventuali spese straordinarie; i prospetti di ripartizione dei bilanci e delle spese straordinarie; eventuali diffide inviate dall’amministratore al condomino moroso.